Il 5 marzo 2025 la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha finalmente svelato il tanto atteso Piano d’Azione per il settore automobilistico, frutto di un intenso dialogo strategico con l’industria automotive avviato nei mesi precedenti.
Il documento di 18 pagine arriva in un momento decisivo per il futuro della mobilità europea e rappresenta il tentativo dell’Unione di rispondere a una crisi che sta mettendo in ginocchio uno dei pilastri industriali del continente.
“C’è così tanto potenziale inutilizzato sul mercato globale quando si tratta di innovazione e soluzioni pulite. Voglio che la nostra industria automobilistica europea assuma un ruolo guida“, ha dichiarato von der Leyen durante la presentazione, riconoscendo l’importanza di un settore che contribuisce con oltre 1 trilione di euro al PIL europeo e occupa 13 milioni di persone.
Il piano arriva in un contesto particolarmente delicato. Da un lato, l’industria automobilistica europea sta affrontando una trasformazione epocale, schiacciata tra l’aggressiva competizione cinese (che domina il mercato delle batterie con l’80% della produzione mondiale) e americana, le conseguenze del dieselgate, e l’incombente minaccia dei dazi imposti da Donald Trump.
Dall’altro, le pressioni per rispettare gli ambiziosi obiettivi climatici dell’Unione hanno imposto scadenze che molti costruttori considerano irrealistiche, con la prospettiva di sanzioni multi-miliardarie all’orizzonte.
Il documento presentato dalla Commissione appare come un compromesso che cerca di bilanciare la determinazione nel perseguire gli obiettivi di decarbonizzazione con un approccio più pragmatico alle difficoltà del settore.
“Ci atterremo ai nostri obiettivi concordati in materia di emissioni, ma con un approccio pragmatico e flessibile“, ha sottolineato von der Leyen, segnalando una disponibilità al dialogo che fino a pochi mesi fa sembrava impensabile.
Dopo mesi di confronti, anticipazioni e polemiche, l’Europa mostra di aver compreso che la transizione verso la mobilità sostenibile non può avvenire a scapito della competitività della sua industria.
La sfida ora è tradurre questa consapevolezza in azioni concrete che possano realmente sostenere la trasformazione del settore, evitando che le buone intenzioni si perdano nel labirinto burocratico delle istituzioni europee.
Il piano presentato dalla Commissione segna una svolta importante nell’approccio europeo alla transizione ecologica nel settore automobilistico. Pur mantenendo fermo l’obiettivo di vendere esclusivamente veicoli a zero emissioni dal 2035, Bruxelles ha finalmente mostrato di voler ascoltare le preoccupazioni dell’industria, introducendo elementi di flessibilità che fino a pochi mesi fa sembravano tabù nei corridoi delle istituzioni comunitarie.
La misura più attesa dai costruttori riguarda le temute sanzioni per le eccedenze di CO2. La Commissione proporrà una modifica mirata del regolamento che consentirà alle case automobilistiche di calcolare la conformità agli standard su un periodo di tre anni (2025-2027), anziché su base annuale.
Tale cambiamento permetterà di compensare eventuali carenze in uno o due anni con risultati migliori negli altri, pur mantenendo l’ambizione generale sugli obiettivi per il 2025. Una boccata d’ossigeno per i produttori, che secondo le stime rischiavano sanzioni complessive per circa 15 miliardi di euro.
“La Commissione proporrà una modifica mirata del regolamento sulle norme in materia di emissioni di CO2 per autovetture e furgoni questo mese“, si legge nel documento ufficiale. Una mossa che dà respiro immediato ai costruttori, alle prese con un mercato riluttante ad abbracciare massicciamente la mobilità elettrica, con vendite di auto a batteria ferme al 15% in media in Europa, ben lontane dal 30% necessario per rispettare i limiti imposti.
Altrettanto importante è la decisione di accelerare i lavori per la revisione del regolamento sulle emissioni di CO2. Come annunciato dal commissario ai Trasporti Apostolos Tzitzikostas, la revisione prevista inizialmente per il 2026 sarà anticipata al “terzo e quarto trimestre del 2025“. Questo anticipo apre la strada a un potenziale riesame più tempestivo delle condizioni di mercato e tecnologiche, permettendo eventuali aggiustamenti prima che sia troppo tardi.
Particolarmente rilevante è anche l’apertura verso i carburanti alternativi. Sebbene la von der Leyen abbia ribadito l’importanza di mantenere l’obiettivo del 2035 per “dare certezza alle Case“, la Commissione ha mostrato disponibilità a rivedere le opportunità di impiego dei carburanti CO2 neutri, una richiesta fortemente sostenuta dalla Germania e dall’Italia.
Il commissario Tzitzikostas ha dichiarato che “abbiamo già detto che i carburanti sintetici hanno un ruolo da giocare nel garantire la neutralità climatica. Valuteremo nel contempo se altre tecnologie potranno avere un ruolo“.
La revisione del regolamento, secondo quanto trapelato, non intaccherà lo stop ai motori termici dal 2035, ma consentirà di sancire nero su bianco il principio di neutralità tecnologica, aprendo la strada non solo agli e-fuels richiesti da Berlino, ma potenzialmente anche ai biocarburanti sostenuti dall’Italia.
Un segnale che l’Europa sta finalmente abbandonando l’approccio dogmatico all’elettrificazione come unica soluzione possibile, per abbracciare un ventaglio più ampio di tecnologie che possano contribuire all’obiettivo della neutralità climatica.
Questa nuova flessibilità, se da un lato è stata accolta con favore dall’industria, dall’altro ha sollevato critiche da parte di organizzazioni ambientaliste come Transport & Environment, che lamentano la genericità del supporto economico europeo e la mancanza di determinazione nell’affrontare la sfida climatica. Un equilibrio difficile, ma forse necessario, tra ambizione ambientale e realismo economico.
Nel cuore del Piano d’Azione UE per l’automotive si colloca una serie di strumenti finanziari che puntano a stimolare sia l’offerta che la domanda di veicoli elettrici. La Commissione ha deciso di investire 1,8 miliardi di euro nei prossimi due anni per incentivare la produzione di batterie in Europa, un settore strategico in cui il Vecchio Continente accusa un grave ritardo rispetto alla Cina.
La misura fa parte di un pacchetto completo denominato Battery Booster, che mira a sostenere la produzione di celle e componenti attraverso finanziamenti diretti, prestiti competitivi e criteri diversi dal solo prezzo per la valutazione dei componenti.
Questa cifra, seppur significativa, appare però modesta se confrontata con gli 800 miliardi di euro che l’Unione Europea ha recentemente deciso di stanziare per il riarmo e la difesa. Un contrasto che non è sfuggito a molti osservatori e che ha alimentato le critiche di chi ritiene che la transizione ecologica nel settore automobilistico non stia ricevendo l’attenzione finanziaria che meriterebbe.
Come ha sottolineato un sindacalista della Fim Cisl, Ferdinando Uliano, il piano risulta “del tutto insufficiente e inadeguato rispetto alle esigenze di un comparto strategico che sta affrontando una transizione complessa e rischiosa“.
Va notato che già lo scorso dicembre era stato lanciato un bando da 1 miliardo di euro per la produzione di celle per batterie, ma senza grande successo, come dimostra il progetto di Stellantis a Termoli attualmente in stallo e i segnali preoccupanti provenienti da aziende come Northvolt, che avevano deciso di investire in Europa nella produzione di batterie.
Sul fronte degli incentivi al consumo, la vera novità riguarda la promozione del leasing sociale, un modello già sperimentato con successo in Francia. La Commissione intende incoraggiare l’adozione di regimi simili attraverso la sua “prossima raccomandazione sulla povertà dei trasporti“, che sarà adottata nel primo trimestre del 2025.
Nel caso francese, un’auto elettrica da 25.000 euro può essere presa in leasing a 100 euro al mese, rendendo accessibile la mobilità elettrica anche alle fasce di popolazione a basso reddito.
Questa iniziativa sarà finanziata attraverso il Fondo sociale per il clima, che tra il 2026 e il 2032 mobiliterà 86,7 miliardi di euro. “La presente raccomandazione incoraggerà gli Stati membri a integrare tali sistemi nei loro piani nazionali nell’ambito del Fondo sociale per il clima, rendendo i trasporti sostenibili più accessibili a tutti“, si legge nel documento della Commissione.
Contrariamente alle aspettative e alle speculazioni dei mesi scorsi, non ci saranno incentivi europei diretti per l’acquisto di veicoli elettrici. La Commissione ha optato invece per un ruolo di coordinamento e supervisione degli schemi di incentivo nazionali. “La Commissione collaborerà attivamente con gli Stati membri per scambiare le migliori pratiche e gli insegnamenti tratti sui regimi di incentivi per i consumatori, compresa la fiscalità“, spiega il documento, aggiungendo che questo lavoro porterà a una raccomandazione che identificherà anche le potenziali fonti di finanziamento UE a cui gli Stati membri potranno attingere.
Una scelta che sembra riflettere tanto la limitatezza delle risorse disponibili a livello europeo quanto la volontà di lasciare ai singoli Paesi la flessibilità di adattare le politiche di incentivo alle specifiche condizioni dei rispettivi mercati.
Tuttavia, in un contesto in cui molti Stati, tra cui l’Italia, stanno abbandonando o riducendo drasticamente gli incentivi governativi per i veicoli elettrici, rimane il dubbio che questa strategia possa realmente accelerare l’adozione della mobilità elettrica al ritmo necessario per raggiungere gli obiettivi fissati.
L’Europa si trova di fronte a una grande sfida nel tentativo di garantirsi un futuro autonomo nella mobilità elettrica. Il dominio cinese nel settore delle batterie, con oltre l’80% della produzione mondiale, rappresenta una minaccia per l’industria automobilistica europea, che rischia di passare dalla dipendenza dal petrolio mediorientale a quella dalle batterie cinesi.
Il Piano d’Azione riconosce questa vulnerabilità e propone la costituzione di un Ente di accesso alle materie prime per batterie che aiuterà le case automobilistiche a ottenere le materie prime necessarie mettendo in comune i loro impegni e investimenti. Un tentativo di rispondere a una delle principali criticità della filiera: la limitata reperibilità di terre rare e altri materiali essenziali per la produzione di batterie.
La Commissione intende inoltre accelerare il processo di autorizzazione per la raffinazione dei materiali delle batterie, andando oltre i progetti strategici già individuati nell’ambito della normativa sulle materie prime critiche.
Attenzione particolare viene riservata al riciclaggio, con un maggiore sostegno finanziario per gli impianti dedicati, nella consapevolezza che l’economia circolare rappresenta una strada obbligata per ridurre la dipendenza dall’estero.
Tra le misure più controverse, la UE sta valutando l’introduzione di requisiti di contenuto locale per le batterie e i loro componenti destinati ai veicoli elettrici venduti nell’Unione, con una legislazione che dovrebbe essere introdotta entro la fine dell’anno.
Sul fronte delle infrastrutture di ricarica, altro pilastro fondamentale per l’affermazione della mobilità elettrica, la Commissione ha stanziato 570 milioni di euro per il biennio 2025-2026. “Ad oggi sono stati impegnati circa 1,7 miliardi di euro, a sostegno del finanziamento di oltre 27.000 punti di ricarica rapida per auto e camion“, si legge nel piano. A questi si aggiungono i nuovi fondi “con particolare attenzione ai veicoli pesanti“.
La cifra, tuttavia, appare modesta rispetto alle necessità di un continente che deve realizzare milioni di punti di ricarica nei prossimi anni per sostenere la diffusione dei veicoli elettrici. Secondo molti esperti, si tratta di una goccia nel mare, che difficilmente potrà accelerare in modo significativo la creazione di una rete adeguata.
Un aspetto rilevante riguarda anche la gestione della concorrenza cinese nel mercato automobilistico europeo. La Commissione ha annunciato che monitorerà attentamente le importazioni di veicoli elettrici dalla Cina e, se necessario, potrebbe introdurre nuove misure anti-dumping.
Riguardo agli investimenti stranieri, gli investitori non europei nel settore auto potrebbero dover rispettare condizioni più rigide, come joint-venture con aziende UE o trasferimento di tecnologie.
Un ribaltamento interessante della dinamica storica: dopo decenni in cui le aziende europee hanno dovuto sottostare a condizioni simili per operare in Cina, ora l’Europa valuta di applicare lo stesso modello. Come hanno osservato alcuni, “se mai ci fosse stato qualche dubbio, ora è nero su bianco che si sono invertite le parti“.
La domanda che molti si pongono è se le misure proposte, con le risorse limitate allocate, saranno sufficienti a invertire una tendenza che vede l’Europa sempre più marginale nella nuova geografia industriale dell’auto elettrica.
Di fronte all’aggressiva competizione internazionale, l’Unione Europea ha deciso di puntare sull’innovazione tecnologica come leva strategica per mantenere la propria rilevanza nel settore automobilistico globale.
Una delle iniziative più ambiziose del Piano d’Azione è la creazione dell’Alleanza Europea per i Veicoli Connessi e Autonomi, un progetto che mira a colmare il divario che si è creato con Stati Uniti e Cina nel campo della guida autonoma.
L’Alleanza riunirà i principali attori del settore automobilistico europeo per sviluppare congiuntamente la prossima generazione di veicoli definiti dal software (software-defined vehicle), concentrandosi su elementi comuni di architettura, componenti hardware e software condivisi, nonché sulla loro standardizzazione.
Un approccio collaborativo che potrebbe finalmente permettere all’Europa di competere con i giganti tecnologici americani e le aggressive startup cinesi, che stanno attualmente guidando l’innovazione nella guida autonoma.
Per sostenere questo sforzo, la Commissione ha previsto investimenti congiunti pubblico-privati per circa 1 miliardo di euro nell’ambito del programma Horizon Europe nel periodo 2025-2027. “Secondo la Commissione, questa tecnologia potrebbe generare un valore aggiunto fino a 400 miliardi di euro entro il 2035“, si legge nel Piano, che prevede anche il lancio di un progetto pilota dedicato allo sviluppo di software per la guida autonoma tra il 2026 e il 2027.
L’iniziativa va oltre lo sviluppo tecnologico e include la creazione di un quadro normativo armonizzato per i test e l’omologazione dei veicoli autonomi, che dovrebbe facilitare l’introduzione di modelli con sistemi avanzati di assistenza alla guida.
Parallelamente, la Commissione ha riconosciuto la necessità di snellire i processi normativi che spesso rallentano l’innovazione nel settore. È stata promessa una revisione della regolamentazione sulle omologazioni per ridurre i tempi di approvazione di nuovi modelli, una misura che dovrebbe permettere ai costruttori europei di adattarsi più rapidamente all’evoluzione tecnologica e alle mutevoli richieste del mercato.
Un altro pilastro della strategia innovativa riguarda la spinta verso l’elettrificazione delle flotte aziendali, che rappresentano circa il 60% delle nuove immatricolazioni in Europa. La Commissione ha pubblicato una comunicazione che fornisce suggerimenti alle autorità nazionali, regionali e comunali per accelerare la diffusione dei veicoli a zero emissioni nelle flotte, riconoscendo il ruolo fondamentale che queste possono giocare nel guidare la transizione verso la mobilità elettrica.
“I numeri sono importanti“, sottolinea il documento, riferendosi al potenziale impatto che l’elettrificazione delle flotte aziendali potrebbe avere sul raggiungimento degli obiettivi climatici. Bruxelles ha promesso di sovvenzionare questa transizione, ma ha anche riconosciuto che da sola non basta: occorre un lavoro più intensivo anche sull’infrastruttura di ricarica specifica per le esigenze delle flotte.
Per quanto riguarda i veicoli commerciali pesanti, la Commissione sta esplorando azioni per supportare l’adozione di camion a zero emissioni, anche attraverso l’esenzione dai pedaggi stradali, con un emendamento alla Direttiva Eurovignette previsto nei prossimi mesi.
La transizione verso la mobilità elettrica rappresenta una sfida non solo tecnologica ed economica, ma anche profondamente sociale. Il Piano d’Azione UE riconosce che la trasformazione del settore automotive sta già avendo un impatto pesante sull’occupazione, con migliaia di posti di lavoro a rischio e molti altri che richiederanno competenze radicalmente diverse da quelle tradizionali.
La produzione di veicoli elettrici richiede infatti circa il 30% in meno di manodopera rispetto ai modelli con motore a combustione interna, e le competenze necessarie sono spesso molto diverse.
Secondo le stime dei sindacati, la transizione potrebbe mettere a rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro in tutta Europa, soprattutto nelle regioni con una forte tradizione manifatturiera legata all’automotive.
Per affrontare questa sfida, la Commissione propone di collaborare “con le parti sociali e gli Stati membri per aumentare i finanziamenti del Fondo sociale europeo Plus (FSE+) per il settore automobilistico, sostenendo i lavoratori che desiderano riqualificarsi e cercare nuove opportunità di lavoro“.
Un’iniziativa che riconosce la necessità di accompagnare la trasformazione industriale con adeguate politiche sociali, ma che secondo molti osservatori manca di dettagli concreti e di una quantificazione precisa delle risorse destinate a questo scopo.
Anche sul fronte dell’accessibilità economica dei veicoli elettrici, il Piano mostra una certa sensibilità sociale. La proposta del leasing sociale punta a democratizzare l’accesso alla mobilità elettrica, rendendola accessibile anche alle fasce di popolazione a basso reddito.
La Commissione promuoverà l’adozione di regimi di leasing sociale per veicoli nuovi e usati attraverso la sua “prossima raccomandazione sulla povertà dei trasporti“, che sarà adottata nel primo trimestre del 2025. Un tentativo di evitare che la transizione ecologica crei nuove disuguaglianze sociali, relegando la mobilità elettrica a un privilegio per pochi.
Le reazioni dei sindacati al Piano, tuttavia, non sono state particolarmente entusiaste. Anche le associazioni di categoria come l’ANFIA (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica) hanno espresso perplessità, sottolineando che il documento “non può essere chiamato Piano d’azione, mancando l’indicazione di date certe, azioni concrete rispetto a molte tematiche sollecitate e ben rappresentate da sindacati, costruttori di autoveicoli, componentisti e associazioni di settore, l’indicazione di chi si assume la responsabilità della messa in campo di queste azioni e infine gli importi da allocare per i diversi aspetti del piano“.
Il timore diffuso è che, mentre l’Europa procede spedita verso l’imposizione di standard ambientali sempre più stringenti, non stia dedicando sufficiente attenzione e risorse al sostegno dei lavoratori e delle comunità più vulnerabili agli effetti di questa transizione.