Volkswagen Golf rappresenta una pietra miliare dell’automobilismo. Ne abbiamo parlato con Giorgetto Giugiaro, che ha disegnato la prima serie, e due figure di spicco di Italdesign: Filippo Perini e Salvatore Cieri
Volkswagen Golf è una vera icona dell’automobilismo. Nata sul finire degli anni Settanta per rimpiazzare il Maggiolino, ormai vetusto per l’epoca a causa dei costi di produzione, fu la novità che riuscì ad imporre stile e contenuti a tutta l’industria. Nel marketing questo si chiama Category Killer: lo è stato iPhone per la telefonia come lo è Ikea per il mobilificio. Perché a cambiare è il mercato in cui questi prodotti vengono immessi, non il contrario. Ecco come è andata.
Vale la pena ricordare che la Volkswagen “ante Golf” era una società ben diversa dal colosso automobilistico che è oggi. Sull’orlo della crisi, i vertici dell’azienda chiesero a Gerard Richard Gumpert -primo importatore della marca per l’Italia- di identificare il miglior designer automotive in circolazione affinché disegnasse la nuova, grande idea di Wolfsburg. L’auto che, in un modo o nell’altro, doveva invertire la rotta.
Così Gumpert si recò al Salone di Ginevra del 1969 e selezionò sei autovetture che avevano caratteristiche simili a ciò che avevano in mente gli ingegneri tedeschi: segmento C, prezzo accessibile e linea moderna. Si scoprì che quattro di quelle auto erano state disegnate da Giorgetto Giugiaro il quale, al tempo, lavorava per lo più ai progetti del Lingotto. Fu così che a Giugiaro, allora trentunenne, venne commissionato il disegno della prima Golf della storia.
Le utilitarie del tempo avevano difetti evidenti: vibravano, faticavano a tenere la strada ed i motori risultavano troppo poco potenti. La prima Golf riscrisse buona parte di questi limiti. La carrozzeria a due volumi, elegante e rifinita, venne da subito apprezzata dal pubblico, che fu poi stregato dall’introduzione della prima Golf GTI della storia commercializzata l’anno seguente, quindi nel 1975. Motore da 110CV per una cubatura di 1.6 litri che, con un prezzo accessibile, permetteva a (quasi) tutti di acquistare un bolide su ruote. Il concetto delle hot hatch non nasce con la GTI, vero, ma è altrettanto vero che nessuna piccola sportiva era riuscita ad essere così competitiva in tutte le fasi della guida, specialmente in frenata: le “bare volanti” che l’avevano preceduta, spesso e volentieri, erano difficili da fermare.
Visto il successo della prima serie, nella realizzazione della seconda Volkswagen puntò ancora una volta sulla qualità, introducendo saldature laser per il telaio e nuovi motori. Non solo: le finiture degli interni, sensibilmente più curate, consacrarono l’auto allo status che tutt’ora l’accompagna. La Golf è una macchina da avere, da conoscere. Nessuno vi dirà che ha una Volkswagen Golf 1.6 TDI, sentirete dire solamente ho una Golf. Per chi ascolta è abbastanza.
La terza serie fu la prima rivoluzione stilistica affrontata dalla vettura, più in linea con gli stilemi moderni. Nonostante l’introduzione capillare di nuove tecnologie sul fronte tecnico e di linee così profondamente riviste, la terza serie ebbe meno riscontro di quanto ci si potesse attendere. Il pubblico tornò a vedere Golf come vero punto di riferimento per la categoria con la quarta serie, che riprese i concetti della terza spingendoli però ad un maggior livello di completezza.
Con l’arrivo della quinta serie Volkswagen Golf diventa qualcosa di diverso. È più grande, tecnologica e confortevole, tracciando così una parabola seguita dalla maggior parte dei costruttori. Le auto sono cambiate molto e Volkswagen presenta i propri modelli con il peso mediatico (ed economico) di chi è leader del mercato. Così accade anche per la sesta serie, che strizza l’occhio al mercato premium mantenendo però il suo carattere da “auto del popolo”.
Per raggiungere la sede di Italdesign, alle porte di Torino, abbiamo viaggiato su di una Volkswagen Golf 7. La dote più evidente di questa vettura è il suo bilanciamento. Capace davvero di tutto, dalla lunga trasferta autostradale alla corsa in pista, la settima generazione mescola sapientemente il fascino della tecnologia raccontato da ADAS e infotainment a quello della tecnica che si racconta con un alto livello dell’assemblaggio e dei componenti impiegati. La vettura è così ben calibrata da farci dimenticare di essere alla guida. Non ci sono sfaccettature ostiche, meccaniche legnose o limiti tecnici ad impensierire la guida, che diventa pura e istintiva.
Entrare nella sede di Italdesign è un’emozione difficilmente replicabile. Ogni angolo dell’imponente quartier generale, dall’arredamento all’architettura stessa, mette in discussione canoni stilistici e convenzioni su ciò che può essere un oggetto. Essere un designer design significa cambiare prospettiva: inizialmente la propria, così da poter cambiare quella degli altri. Nel quotidiano entriamo in contatto con centinaia di oggetti ben disegnati; il nostro limite è una vita spesso veloce, capace di ci allontanarci dalle riflessioni e dalla contemplazione. Così, venire investiti da una straordinaria concentrazione di opere riesce a metterci nella giusta ottica per scambiare due parole con chi l’Italdesign l’ha fondata.
Giorgetto Giugiaro, 81 anni ad agosto 2019, è un uomo straordinario. Car Designer del Secolo con 7 lauree ad Honorem, una ad Honoris Causae e 5 Compassi d’Oro (ma la lista è molto più lunga!) entra nella sua Italdesign dopo averne lasciato la guida nel 2015 per raccontarci come è nata la prima Golf. La sua presenza è quella di uno Sean Connery nel miglior 007: elegante e giocosa ma, al contempo, inequivocabilmente autoritaria.
“Definire la bellezza è molto difficile” racconta “Sono proporzioni: io vorrei dire che è matematica, è l’equilibrio. È la considerazione di una curva, a seconda di dove la vedi, ma è sempre un’espressione matematica.” Giugiaro parla delle sue passioni d’infanzia, dell’amore per la pittura “io forse sono nato in un periodo che, analizzando il passato, non trovo adeguato a quello che è il mio sentire. Perché se vedo una tela di Caravaggio vorrei solo dipingere, non farei altro. L’epoca di oggi è molto complessa, molto difficile.”
“Quando sono arrivato a Wolfsburg non sapevo per cosa mi avessero chiamato; non ne avevo idea. Mi ritrovai di fronte ad una trentina di ingegneri di esperienza che, inizialmente, mi guardarono come se fossi uno scherzo: avevo trent’anni, ero giovane. Dovetti conquistarmi la loro fiducia.” ricorda Giugiaro del periodo in cui prese in consegna il design della prima Golf “così cominciai a fare domande: quanto dev’essere grande il bagagliaio, quanto spazio deve esserci tra i sedili…rigirai la situazione.”
Insieme a Giorgetto Giugiaro, nella stessa giornata, abbiamo avuto modo di intervistare anche Filippo Perini (Head of Innovation Design) e Salvatore Cieri (Direttore Finanziario).
Parlando di Volkswagen Golf i due hanno molto da raccontare: “Giugiaro e l’Italdesign erano le entità giuste al momento giusto– esordisce Perini –Volkswagen aveva un’identità di marca in evoluzione: l’identità di marca deriva da un progetto, o se vuoi un prodotto, e Giorgetto Giugiaro è stato in grado di instillare i valori di Volkswagen come marca in un progetto che potesse essere acquistato. E questo è stato capito dalla clientela; è quello che piace ed è la vera essenza del designer.”
Mentre, secondo Salvatore Cieri, “La Golf non è stata solo un’innovazione nello stile. Con la Golf si è creato qualcosa di nuovo nel mondo dell’automotive. Se devo paragonare la Golf ad un qualcosa di simile posso pensare solo all’iPhone. Questo perché ha rivoluzionato un oggetto esistente, decretando nell’immediato l’obsolescenza di tutto ciò che c’era prima.”