La Formula 1 ha un nuovo Re: fino a poco tempo fa era Michael Schumacher, in vetta alle classifiche di tutti i tempi con sei Titoli Mondiali e 91 vittorie che sembravano praticamente irraggiungibili da chiunque. Un primato visto con una certa soggezione da molti… ma non da Lewis Hamilton: grazie al successo centrato nello scorso Gran Premio del Portogallo, il britannico della Mercedes ha alzato ancora di più l’asticella spostandola sul numero 92, che indica i trionfi ottenuti in carriera dal suo esordio nella massima serie automobilistica avvenuto nel 2007.
Per il pilota di Stevenage è stata una vittoria sofferta, caratterizzata da una partenza dalla pole position convincente… ma allo stesso tempo cauta a causa delle gocce di pioggia che stavano bagnando il circuito di Portimao. Lewis, in quel momento, ha preferito stare dietro al compagno di squadra Valtteri Bottas e alla McLaren di un Carlos Sainz particolarmente a suo agio in condizioni intermedie, che dopo qualche giro, però, ha dovuto cedere definitivamente il passo alle due Frecce Nere.
A questo punto l’unico che poteva mettere il bastone tra le ruote a Hamilton era solo il finlandese: il suo passo gara, tuttavia, non si è dimostrato all’altezza di quello dell’inglese, il quale l’ha passato al termine del 19esimo giro dopo aver fatto “fuel saving” rimanendo in scia alla Mercedes gemella numero 77. Lewis ne aveva di più e, dopo il sorpasso, ha martellato giri veloci a ripetizione come lui sa fare, creando un margine sotto la bandiera a scacchi di ben 25 secondi sul diretto rivale in classifica.
Nell’ultima parte di gara, tuttavia, Hamilton ha anche dovuto stringere i denti per via di un crampo al polpaccio destro, che lo ha costretto a rallentare sul rettilineo principale per evitare ulteriori complicazioni. Questo non gli ha impedito di siglare anche il giro più veloce della corsa in 1’18”750, quasi sei decimi più rapido di quello di Bottas e vicino al secondo di distanza dal ritmo imposto dal terzo arrivato al traguardo, Max Verstappen. Una prova di forza che ricorda, per certi versi, quanto fatto da Ayrton Senna nel Gran Premio del Brasile del 1991, dove conquistò la sua prima vittoria in patria dopo aver gestito una McLaren bloccata in sesta marcia che gli provocò forti dolori al braccio destro tanto da dover chiedere aiuto per uscire dall’abitacolo.
Per Hamilton la situazione è stata meno complicata, ma questo non toglie l’assoluto valore di un’impresa che entra di diritto nella storia della Formula 1: uno degli ultimi piloti della “vecchia scuola”, provenienti dal popolo e arrivato all’apice dell’automobilismo grazie ai sacrifici propri e del padre, è diventato il più vincente di sempre e ora è pronto ad andare a centrare il suo settimo Titolo Piloti in carriera, superando l’ultimo primato ancora nelle mani di Schumacher. La sua è una storia di sport che lo vede già sotto contratto con la McLaren dall’età di 12 anni, quando Ron Dennis lo scovò come uno dei più brillanti talenti nel mondo del karting.
Da allora, grazie all’aiuto fornito dal team di Woking, Hamilton ha saputo distinguersi in ogni singola classe minore dell’automobilismo: dalla Formula Renault 2.0 alle F3 Euro Series, passando per quel Campionato GP2 che vinse nel 2006 sostituendo il suo rivale di sempre, Nico Rosberg, e che gli spianò la strada al suo arrivo ufficiale in Formula 1. Al suo primo anno Hamilton stupì tutti e arrivò a un solo punto dal vincere il Titolo Piloti al debutto, andato invece al ferrarista Kimi Raikkonen: la festa, in realtà, fu solo rinviata di una stagione, perchè nel 2008 conquistò il tanto agognato iride battendo nell’ultima prova di Interlagos un Felipe Massa convinto fino all’ultimo di essere lui a meritare il Titolo di Campione del Mondo.
L’avventura di Hamilton è poi continuata in McLaren fino al 2012, con anni pochi produttivi per via di diversi fattori: nel 2009 dovette piegare la testa alla competitività della Brawn GP di Jenson Button, mentre dal 2010 al 2013 fu la Red Bull di Sebastian Vettel ad impedirgli di tornare sul gradino più alto del podio. Con il passaggio in Mercedes dal 2014 tutto cambiò: l’esperienza del Gruppo Daimler con le motorizzazioni turbo-ibride si dimostrò un grande vantaggio per il team di Brackley, che fornì a Lewis delle monoposto sempre all’apice della competitività. Il britannico tornò così davanti a tutti nel biennio 2014-2015 e nell’attuale triennio 2017-2019, lasciando il “buco vuoto” solamente nel 2016 quando fu battuto dal tedesco Rosberg. Dopo oltre cinque anni di lavoro, ora Hamilton ha raggiunto il pilota più grande di sempre, un Michael Schumacher che resiste ancora nella Hall of Fame per i suoi sei Titoli Mondiali a parimerito proprio con l’inglese. Una cosa è certa: anche questo primato ha i giorni contati…