Federauto entra nel merito dei perché, a parer suo e di altre associazioni di filiera dell’automotive italiana, si è commesso un grave errore nell’inserire nel Decreto Sviluppo – approvato in Senato il 3 agosto 2012 – incentivi per le auto elettriche, che interessano in misura inferiore quelle con emissioni di CO2 non superiori a 120 g/km. Provvedimenti varati contro i pareri di tutte le associazioni che in Italia rappresentano: i costruttori, i componentisti e i concessionari.
“L’auto elettrica potrebbe essere un prodotto interessante nel nostro futuro, ma voglio ricordare che ad oggi presenta evidenti problemi di competitività sul mercato. A partire dall’elevato prezzo dei listini, molto alto anche a causa del costo delle batterie, dalla scarsa autonomia fino ai lunghi tempi per la ricarica. Inoltre i costruttori non hanno condiviso uno standard per i sistemi di ricarica”. Questo il commento di Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto, l’associazione che rappresenta i concessionari di tutti brand commercializzati in Italia che aggiunge: “Siamo inoltre preoccupati del fatto che, senza un mercato vero di riferimento, i concessionari che riceveranno questi prodotti potrebbero andare incontro a problemi aggiuntivi, come la gestione di stock pesanti e di lenta movimentazione, in un contesto di per sé complicato”.
Per questi motivi gli analisti divergono drasticamente quando ipotizzano la penetrazione futura dell’elettrico puro. Alcuni prevedono vendite vicino allo zero, altri che arriveremo entro il 2020 al 20% del totale. Per ora registriamo che questa tecnologia non sembra avere, oggi, le carte in regola per la diffusione di massa, per cui non si comprende perché il Governo stia cercando di spingerla a suon di incentivi, dimenticando che per l’ambiente, nel medio periodo, sarebbe molto meglio puntare sulle vetture a idrocarburi a basse emissioni di CO2, o alimentate a GPL o Metano. Magari rottamando quelle con anzianità superiore a 10 anni al fine di svecchiare il circolante, con impatti significativi per l’ambiente, la sicurezza, il gettito fiscale nazionale e l’occupazione.
A questo si aggiunga che le auto elettriche attualmente disponibili sono poche. Nel 2011 nel mercato Italia ne sono state immatricolate 289, ossia circa lo 0,016% del totale, mentre nei primi 6 mesi del 2012 pesano lo 0,04%. Cifre irrisorie.
Per entrare nel merito un’utilitaria elettrica costa oggi 20/25mila euro in più rispetto a un’auto ad alimentazione tradizionale, e per percorre 100 chilometri ci vogliono 3 euro. Tenendo conto che per una vettura tradizionale, per percorrere la stessa distanza, ce ne vogliono circa 13, ogni 100 chilometri l’elettrica porterà un risparmio di circa 10 euro, ossia 1.000 euro ogni 10.000 chilometri percorsi.
Allora ci domandiamo: con questi numeri quando il cliente ammortizzerà i 20/25mila euro in più che ha speso? Senza contare che la scarsa autonomia la rende inadatta alle medie e lunghe distanze.
Resta poi da affrontare un altro problema: perché investire in infrastrutture se i costruttori non hanno condiviso uno standard, almeno europeo, per le colonnine di ricarica? Così il rischio di buttare denaro è elevatissimo. Inoltre il progresso potrebbe ridurre i tempi di ricarica per mezzo di nuove tecnologie – attualmente ci vogliono dalle 5 alle 8 ore – rendendo inutili gli investimenti intermedi.
Per l’ambiente rimane poi da vagliare un altro aspetto, e cioè l’impatto ambientale di una vettura da quando nasce a quando viene radiata. Allora qui l’elettrico perde terreno.
Federauto ritiene quindi che il recente provvedimento del Governo, volto a incentivare questa tecnologia, non sia utile all’Italia, neanche in prospettiva. Con l’aggravante di creare false illusioni e false aspettative negli utenti. Tanta demagogia ma poca sostanza.
Conclude Pavan Bernacchi: “A noi che gli autoveicoli li vendiamo, si tratti di una Panda o di una Carrera, le alimentazioni interessano poco. Se non nella misura in cui da cittadini amiamo l’ambiente e la sicurezza. Infatti che una vettura vada a idrogeno, gasolio, benzina, alcool, o sia elettrica, noi la commercializziamo e la assistiamo nella stessa misura. Sono i clienti che scelgono in base alle proprie tasche, gusti ed esigenze. Però in questo momento storico resta inconcepibile come il Governo Tecnico si possa occupare di una vicenda che interessa lo zero-virgola-zero del mercato lasciando irrisolti i problemi di un comparto che fattura l’11,4% del PIL e che occupa 1.200.000 addetti con l’indotto. In questo tragico momento, il più drammatico in Italia da quando è stata inventata l’automobile, abbiamo bisogno da una lato di disinnescare i “disincentivi” varati dal Governo Monti con i rincari di Iva, IPT, bollo, superbollo, RC, pedaggi autostradali, accise – tasse che si sono rilevate un boomerang comprimendo i consumi e quindi le entrate per lo Stato – dall’altro di una politica di svecchiamento del circolante e del riordino della tassazione delle vetture aziendali. In sintesi: di un ricorso massiccio al caro vecchio buon senso”.