Tutto è nato da quel telaio che la Lamborghini presentò nel suo stand al Salone di Torino dell’autunno 1965. Apparentemente stravagante, era destinato ad avere un profondo impatto sulla storia della Casa di Sant’Agata Bolognese e dell’intero mondo dell’automobile. Quattro mesi più tardi (marzo 1966), da quel telaio sperimentale è venuta fuori una delle più belle automobili stradali del mondo: la Lamborghini Miura. Realizzata partendo dal prototipo 400 TP (presentato a Torino solo come nuda scocca e meccanica), montava il 12 cilindri da 4.0 litri della 400 GT (sistemato dietro l’abitacolo, in posizione trasversale), con il cambio e il differenziale uniti al basamento del motore in un’unica fusione. Il telaio era di lamiera piegata, saldata e forata per ridurne il peso. Nuccio Bertone, uno che di automobili e di motori se ne intendeva, se ne innamorò a prima vista. Andò da Ferruccio Lamborghini e gli disse: «Io sono quello che può fare la scarpa per il tuo piede». Da qui ebbe inizio un’avventura straordinaria.
Genesi
Disegnata da Marcello Gandini e presentata al Salone di Ginevra del 1966, la Miura fece subito invecchiare di anni le altre auto sportive sul mercato. A due posti, era lunga 4,37 metri, larga 1,76 metri e alta 1,05 metri, con un passo di 2,5 metri. Montava un motore V12 di 3929 cc, piazzato trasversalmente a centro macchina, in grado di erogare 350 CV a 7.000 giri/minuto e raggiungere i 290 km/h, scattando da 0 a 100 km/h in 6,7 secondi. A Ginevra, la Miura fu la regina incontrastata del Salone.
Battesimo
Il nome deriva da una razza di tori da combattimento, i più famosi e cattivi. Rappresentano un mito della tauromachia spagnola. In effetti la somiglianza c’è. Il loro sguardo è come quello inconfondibile dei Miura: uno sguardo da combattenti veri, astuti e forti, pronti ad aggredire. Il nome è stato quindi particolarmente azzeccato, immediato nelle sue cinque lettere. Anche perché le portiere aperte assumevano una forma simile a quella delle corna di un toro.
Storia
Sono tre le serie della Miura che si sono succedute dal 1966 al 1973. Tutte all’apparenza molto simili, ma in realtà con importanti modifiche tra l’una e l’altra. Al Salone di Bruxelles del 1968 venne svelata la Roadster, un esemplare unico che si differenziava per l’assenza della parte di tetto sopra la testa del guidatore e del passeggero. Nel 1969 arrivò il turno della Miura S (presentata al Salone di Torino 1968), la cui potenza saliva a 370 CV. Tra le modifiche più rilevanti, la plancia, i gruppi ottici e un bagagliaio più grande. Nel 1971 toccò alla terza serie, la più estrema. La Miura SV scaricava a terra una potenza di 385 CV. Si distingueva per i parafanghi più larghi e l’assenza delle “ciglia” intorno ai fari anteriori. Da ricordare, infine, un esemplare unico, destinato alle corse ma anche alla circolazione stradale: la versione speciale Jota, creata dal collaudatore Lamborghini Bob Wallace. Aveva una potenza di 440 CV, quattro freni a disco autoventilanti e differenziale autobloccante. È andata distrutta in un incidente.