Sergio Marchionne scrive ai dipendenti Fiat riguardo a Fabbrica Italia

Pubblichiamo il testo integrale della lettera che l’A.D. di Fiat Sergio Marchionne ha scritto a tutti i dipendenti Fiat in Italia.
A voi tutti i commenti.

“A tutte le persone del Gruppo Fiat in Italia

Scrivere una lettera è una di quelle cose che si fa raramente e solo con le persone alle quali si tiene veramente.

Se ho deciso di farlo è perché la cosa che mi sta più a cuore in questo momento è potervi parlare apertamente, per condividere con voi alcuni pensieri e per fare chiarezza sulle tante voci che in questi ultimi mesi hanno visto voi e la Fiat al centro dell’attenzione.

Non è la Fiat a scrivere questa lettera, non è quell’entità astratta che chiamiamo “azienda” e non è, come direbbe qualcuno, il “padrone”.

Vi sto scrivendo prima di tutto come persona, con quel bagaglio di esperienze che la vita mi ha portato a fare.

Sono nato in Italia ma, per ragioni familiari e per motivi di lavoro, ho vissuto all’estero la maggior parte dei miei anni e conosco bene la realtà che sta al di fuori del nostro Paese. Ed è questa conoscenza che sto cercando di mettere a disposizione della Fiat perché non resti isolata da quello che succede intorno.

Vi scrivo da uomo che ha creduto e crede ancora fortemente che abbiamo la possibilità di costruire insieme, in Italia, qualcosa di grande, di migliore e di duraturo.

Prendete questa lettera come il modo più diretto e più umano che conosco per dirvi come stanno realmente le cose.

Ci troviamo in una situazione molto delicata, in cui dobbiamo decidere il nostro futuro. Si tratta di un futuro che riguarda noi tutti, come lavoratori e come persone, e che riguarda il nostro Paese, per il ruolo che vuole occupare a livello internazionale.

Basta pensare a quanto è basso il livello degli investimenti stranieri in Italia, a quante imprese hanno chiuso negli ultimi anni e a quante altre hanno abbandonato il Paese per capire la gravità della situazione. Non nascondiamoci dietro il paravento della crisi.

La crisi ha reso più evidente e, purtroppo, per molte famiglie, anche più drammatica la debolezza della struttura industriale italiana.

La cosa peggiore di un sistema industriale, quando non è in grado di competere, è che alla fine sono i lavoratori a pagarne direttamente – e senza colpa – le conseguenze.

Quello che noi abbiamo cercato di fare, e stiamo facendo, con il progetto “Fabbrica Italia” è invertire questa tendenza.

I contenuti del piano li conoscete bene e prevedono di concentrare nel Paese grandi investimenti, di aumentare il numero di veicoli prodotti in Italia e di far crescere le esportazioni.

Ma il vero obiettivo del progetto è colmare il divario competitivo che ci separa dagli altri Paesi e portare la Fiat ad un livello di efficienza indispensabile per garantire all’Italia una grande industria dell’auto e a tutti i nostri lavoratori un futuro più sicuro.

Non ci sono alternative.

La Fiat è una multinazionale che opera sui mercati di tutto il mondo.

Se vogliamo che anche in Italia cresca, rafforzi le proprie radici e possa creare nuove opportunità di lavoro dobbiamo accettare la sfida e imparare a confrontarci con il resto del mondo.

Le regole della competizione internazionale non le abbiamo scelte noi e nessuno di noi ha la possibilità di cambiarle, anche se non ci piacciono. L’unica cosa che possiamo scegliere è se stare dentro o fuori dal gioco.

Non c’è nulla di eccezionale nelle richieste che stanno alla base della realizzazione di “Fabbrica Italia”.

Abbiamo solo la necessità di garantire normali livelli di competitività ai nostri stabilimenti, creare normali condizioni operative per aumentare il loro utilizzo, avere la certezza di rispondere in tempi normali ai cambiamenti della domanda di mercato.

Non c’è niente di straordinario nel voler aggiornare il sistema di gestione, per adeguarlo a quello che succede a livello mondiale.

Eccezionale semmai – per un’azienda – è la scelta di compiere questo sforzo in Italia, rinunciando ai vantaggi sicuri che altri Paesi potrebbero offrire.

Anche la proposta studiata per Pomigliano non ha nulla di rivoluzionario, se non l’idea di trasferire la produzione della futura Panda dalla Polonia in Italia.

L’accordo che abbiamo raggiunto ha l’unico obiettivo di assicurare alla fabbrica di funzionare al meglio, eliminando una serie interminabile di anomalie che per anni hanno impedito una regolare attività lavorativa.

Proprio oggi abbiamo annunciato che, insieme alle organizzazioni sindacali che hanno condiviso con noi il progetto, metteremo in pratica questo accordo.

Insieme ci impegneremo perché si possa applicare pienamente, assicurando le migliori condizioni di governabilità dello stabilimento.

So che la maggior parte di voi ha compreso e ha apprezzato l’impegno che abbiamo deciso di prendere.

Credo, inoltre, che questo non sia il momento delle polemiche e non voglio certo alimentarle.

Ma di fronte alle accuse che sono state mosse e che hanno messo in dubbio la natura e la serietà del progetto “Fabbrica Italia”, sento il dovere di difenderlo.

Non abbiamo intenzione di toccare nessuno dei vostri diritti, non stiamo violando alcuna legge o tantomeno, come ho sentito dire, addirittura la Costituzione Italiana.

Non mi sembra neppure vero di essere costretto a chiarire una cosa del genere. E’ una delle più grandi assurdità che si possa sostenere.

Quello che stiamo facendo, semmai, è compiere ogni sforzo possibile per tutelare il lavoro, proprio quel lavoro su cui è fondata la Repubblica Italiana.

L’altra cosa che mi ha lasciato incredulo è la presunta contrapposizione tra azienda e lavoratori, tra “padroni” e operai, di cui ho sentito parlare spesso in questi mesi.

Chiunque si sia mai trovato a gestire un’organizzazione sa bene che la forza di quell’organizzazione non arriva da nessuna altra parte se non dalle persone che ci lavorano.

Voi lo avete dimostrato nel modo più evidente, grazie al lavoro fatto in tutti questi anni, trasformando la Fiat, che nel 2004 era sull’orlo del fallimento, in un’azienda che si è guadagnata il rispetto e la stima sui principali mercati internazionali.

Quando, come adesso, si tratta di costruire insieme il futuro che vogliamo, non può esistere nessuna logica di contrapposizione interna.

Questa è una sfida tra noi e il resto del mondo.

Ed è una sfida che o si vince tutti insieme oppure tutti insieme si perde.

Quello di cui ora c’è bisogno è un grande sforzo collettivo, una specie di patto sociale per condividere gli impegni, le responsabilità e i sacrifici in vista di un obiettivo che vada al di là della piccola visione personale.

Questo è il momento di lasciare da parte gli interessi particolari e di guardare al bene comune, al Paese che vogliamo lasciare in eredità alle prossime generazioni.

Questo è il momento di ritrovare una coesione sociale che ci permetta di dare spazio a chi ha il coraggio e la voglia di fare qualcosa di buono.

Sono convinto che anche voi, come me, vogliate per i nostri figli e per i nostri nipoti un futuro diverso e migliore.

Oggi è una di quelle occasioni che capitano una volta nella vita e che ci offre la possibilità di realizzare questa visione.

Cerchiamo di non sprecarla.

Grazie per aver letto questa lunga riflessione e grazie a tutti quelli, tra voi, che vorranno mettere le loro qualità e la loro passione per fare la differenza.

Buon lavoro a tutti.

Sergio Marchionne

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