Il motore della 2CV fatto da un italiano

Cosa fa di una 2CV una 2CV? La domanda sembra retorica ma la risposta è tutt’altro che ovvia: dobbiamo cercare quegli elementi che hanno caratterizzato la piccola Citroën nei suoi quarantadue anni di produzione, ci vengono allora in mente le sospensioni morbidissime a grande escursione, pensate per viaggiare anche dove la strada non c’è, poi il grande tetto in tela che va dal parabrezza al lunotto posteriore, che con pochi gesti inonda l’abitacolo di luce e trasforma la berlina in cabriolet. Poi gli originali fari anteriori che, associati alla forma dell’abitacolo, trasformano -agli occhi dei bambini- la 2CV in una grande “lumaca di latta”, infine c’è il rumore del motore, inconfondibile e indimenticabile per chiunque ne abbia posseduta una!
Quel motore è un piccolo capolavoro di ingegneria dovuto alle capacità di un italiano. Oltre al design della 2CV, merito dello stilista Flaminio Bertoni, anche il motore è frutto dell’opera di un tecnico arrivato dal Bel Paese: Walter Becchia.
Becchia emigrò giovanissimo per la scarsa simpatia che provava per il regime italiano dell’epoca, trovando lavoro alla TalbotLago, dove ebbe modo di misurarsi con i complessi motori molto prestazionali delle eleganti vetture sportive prodotte a quei tempi dal marchio Talbot.
Notato dai vertici di Citroën, fu invitato a trasferirsi al quai de Javel già nel 1939 ma solo nel 1941 accettò l’incarico e venne assunto al Double Chevron.
Tra le ragioni che portarono all’ingaggio di Walter Becchia, c’era la necessità di dare un motore alla futura 2CV: per quella che ancora si chiamava TPV (Toute Petite Voiture), André Lefebvre aveva richiesto un bicilindrico con architettura “boxer”, ovvero con cilindri orizzontali contrapposti, schema che garantiva un ottimo bilanciamento, riducendo in misura consistente le vibrazioni tipiche dei motori poco “frazionati”, ovvero quelli con un ridotto numero di cilindri.

La TPV aveva già quindi il suo motore, boxer, di circa 350cc, raffreddato ad acqua e montato in blocco con cambio e differenziale. A Becchia il compito di migliorarlo per consumi, affidabilità e potenza. Una sfida tutt’altro che semplice!
Becchia iniziò a lavorare in clandestinità visto che durante l’occupazione tedesca di Parigi, a Citroën era vietata ogni attività che non fosse quella di costruire e riparare camion e motrici. Ma la svolta arrivò solo quando ebbe modo di mettere le mani sul relitto della moto personale di Flaminio Bertoni: una BMW R12 con cui lo stilista, nel 1940, aveva avuto un grave incidente.
Becchia smontò il motore, un boxer bicilindrico raffreddato ad aria, e ne esaminò con cura le parti, valutando pregi e difetti di quell’architettura. Prese spunto della tecnica di raffreddamento ma ritenne che i cinematismi fossero inadatti alla mole di una pur leggera autovettura e preferì progettarlo da zero, mantenendo la formula dell’asse a camme centrale dove inizialmente calettò anche la dinamo, oltre al distributore con le puntine d’accensione. Una bobina a doppio effetto faceva scattare la scintilla contemporaneamente in tutti e due i cilindri ad ogni mezza rotazione del motore, semplificando così anche il sistema d’accensione, riducendo le componenti e le possibilità di guasto.
Dopo la liberazione da parte degli Alleati, Bertoni fu arrestato, poiché cittadino italiano che non aveva rinunciato alla cittadinanza del suo Paese, ma fu presto liberato per diretta intercessione della direzione di Citroën, anche Becchia, italiano, pur dichiaratamente antifascista, fu messo sotto stretto controllo. Per questo, non aveva accesso ai laboratori di Citroën dopo le sei di sera, ma non era infrequente trovarlo con l’orecchio attaccato al muro esterno del laboratorio dove notte e giorno giravano i prototipi dei suoi motori, impegnati in durissime prove di durata ai banchi dinamometrici!
Il motore fu pronto per la seconda metà del 1945, anche se i perfezionamenti proseguirono fino al 1948, anno di lancio della vettura, incessantemente fino alla fine della produzione nel ‘90.
Il motore “tipo A” di Walter Becchia era un 375cc, capace di erogare 9 cavalli di potenza a 3500 giri, sufficienti per raggiungere i sessanta chilometri orari richiesti dal capitolato della 2CV consumando circa tre litri di benzina ogni cento chilometri! Successivamente, la cilindrata passò a 425cc, con potenze variabili tra i 12 ed i 18 cavalli, fino all’apparizione di un motore completamente riprogettato, nel 1970, disponibile in due varianti da 425 e 602cc, con potenze comprese tra i 26 ed i 29 cavalli capaci di raggiungere quasi 120 km/h.
Parco ed affidabile, il bicilindrico Citroën progettato da Walter Becchia animò anche altre creature del Double Chevron, come le AMI, la Méhari, la Dyane e tutte le altre “derivate” della 2CV, ma fu utilizzato anche a bordi di altri veicoli: dai deltaplani ai mezzi militari a sei ruote della Poncin.

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