Moto Guzzi Stelvio 1200 – Long Test Ride. Sgombriamo subito il campo: la chiamiamo “enduro stradale” ma è su strada che si trova più a suo agio e lo si capisce subito solo guardando quel pneumatico posteriore da 180 pollici o il puntale paramotore in plastica poco incline alle sassate. Complici l’altezza (840 mm) e le linee che disegnano la Stelvio ma si ha subito una chiara impressione di solidità. Serbatoio muscoloso ma slanciato, sella accogliente, motore, cardano e cerchi neri e davanti quei due faroni dalla linea decisamente personale, può piacere o meno ma non manca di colpire. Altrettanto personale il posteriore con il faro a led coperti da plastica bianca. Ma ciò che le dà la parte preminente della personalità che esprime, così come anche a giustificare il marchio sul serbatoio, è il bicilindrico 1200 con la configurazione tipica delle moto di Mandello. La Stelvio bada alla sostanza e non si perde in frivolezze; l’aspetto esprime la grinta di chi – a differenza di concorrenti più paciose alla vista – non aspetta altro che lanciarsi avanti, curva dopo curva.
Importante la dotazione tecnica e tante sono le firme italiane, da Marzocchi a Brembo e Marelli, che compongono la Stelvio e – come vedremo – questo bagaglio tecnico oltre ad essere presente si sente anche. Strumentazione ricca ed efficace però avremmo gradito – e sarebbe stato quantomai utile, visto il particolare carattere del twin – l’indicatore della marcia inserita.
Prova on e offroad
Come detto, l’altezza della sella può impressionare ma, una volta sopra, si scopre un ottimo bilanciamento che evita di mettere in crisi il pilota a causa dei 250 kg di peso in ordine di marcia. Manubrio largo, seduta comoda, cupolino regolabile – certo il sistema non è molto pratico – e la Stelvio fin dai primi chilometri mette a proprio agio il pilota. Più di qualche parola va spesa per il propulsore “quattrovalvole” e per il suo comportamento atipico per un bicilindrico nato con la vocazione della versatilità. L’erogazione è corposa ma mai troppo decisa fino ai 5mila giri; la spinta c’è ma non sconvolge, anzi chiede sempre una marcia in meno rispetto alle concorrenti (BMW GS, per non fare nomi). Oltre i 5.500 giri, quando queste concorrenti si preparano al cambio marcia, la Stelvio scalcia e tira fuori tutti i cavalli che aveva tenuto in serbo. Questo si traduce in prima marcia, ad esempio, in un’impennata di potenza fino al limitatore. Come ogni caratteristica, ha pregi e difetti; i “pro” in questo caso sono evidenti mentre i “contro” si scoprono in uscita dai tornanti dove conviene sempre avere una marcia in meno. Detto questo, nonostante la grinta che sa esprimere, permette anche di passeggiare senza scalpitii di sorta, grazie anche al cardano ben riuscito che trasmette in modo egregio la potenza dal motore alla ruota.
Ma ciò che della Stelvio merita un deciso plauso è la ciclistica: telaio rigido con motore portante e ottime sospensioni – in modo particolare l’anteriore – creano un mix che le alternative proposte dalle altre Case non hanno ancora raggiunto, se parliamo in termini di efficacia su strada. Può essere che ne venga in qualche modo penalizzato il comfort visto che tutto quello che succede sotto alle ruote viene trasmesso al pilota senza filtri ma quello che la Stelvio restituisce è merce rara. E, quando, ci si deve fermare nessun problema, l’impianto Brembo è eccellente. Da segnalare la posizione dei piedi del pilota che, a seconda delle occasioni, urtano contro il cavalletto laterale, quello centrale o sui supporti delle pedane del passeggero. E vabbè, chi si può dire esente da difetti?