Sébastien Ogier, che si è affermato come pilota completo proprio nel periodo in cui i francesi venivano spesso etichettati come specialisti dell’asfalto, commenta la sua scoperta dello sterrato e le sue impressioni sul rally di Messico.
Quando hai pilotato per la prima volta su terra?
«Con il Rallye Jeunes poco prima dell’inizio della stagione 2006, perché il Volant Peugeot 206 iniziava con lo sterrato di Auxerrois. Prima di allora, a otto anni, mio padre mi aveva recuperato un piccolo kart cross e ho avuto l’opportunità di usarlo sul circuito di Saint-Laurent-du-Cros, non lontano da casa mia.»
Parlaci delle sensazioni su questa superficie
«La cultura predominante in Francia è stata a lungo l’asfalto, ma per quel che mi riguarda le sensazioni su terra sono arrivate molto presto. Mi sono sentito subito a mio agio, come sull’asfalto, forse per la possibilità di “scivolare” che assomiglia allo sci. In tutti i casi ho avuto la fortuna sin dall’inizio della carriera di disputare un campionato misto, ed è la cosa migliore che poteva capitarmi. Oggi, tenendo conto che gli specialisti di una determinata superficie sono sempre meno, e che i nordici sono diventati meno performanti su asfalto, tutto questo ha reso qualunque gara ancora più combattuta.»
Qual è il tuo ricordo più bello del Messico?
«Certamente l’edizione 2008, la mia primissima gara mondiale, conclusa con la vittoria nel campionato del mondo Junior. Sbarcare in questo universo e quello che succede dopo è come vivere un sogno a occhi aperti!»
Dopo una partenza al centro di Mexico City, la celebre piazza Zocalo del 2017, l’organizzazione ha ripristinato la tradizionale cerimonia a Guanajuato. Cosa ne pensi?
«Essere al centro di Mexico City è stato eccezionale, anche con una parte logistica delicata, ma Guanajuato resta un luogo speciale in cui tutti torniamo molto volentieri ogni anno. L’ambiente è unico, ed è la sola cerimonia di partenza della stagione con questa partecipazione popolare!»
Cosa ne hai fatto degli stivali da cowboy normalmente offerti al vincitore?
«Confesso di non averli più indossati dopo il podio, se non l’anno scorso per guidare la moto con cui ho raggiunto l’aeroporto subito dopo l’arrivo! Ma li tengo come ricordo. Ho conservato tutti i trofei delle mie vittorie, tranne uno proprio del Messico, che era indubbiamente troppo bello e che è sparito durante un viaggio. Non ho abbastanza spazio da dedicare a casa, ma ho in progetto di pensarci in futuro e spero di vincerne ancora qualcuno. Per questo aspetto di avere un’idea del posto che mi serve!»
Julien Ingrassia ricorda l’edizione 2008 del Messico, teatro del loro debutto nel WRC:
«Che emozione trovarsi all’altro capo del mondo per la nostra prima gara internazionale, in una delle prove del campionato che più disorientano, con un livello di stress decisamente alto… Con l’importante supporto da parte di Citroën e della Federazione automobilistica francese sentivamo una certa pressione sulle spalle. All’epoca sapevo solo qualche parola di inglese e Seb ancora meno. Poi passavamo da una 206 Volant piuttosto basic a una C2 Super 1600, una vera auto da corsa, con un motore che saliva di giri e anche con un cambio sequenziale. Rivedo ancora Seb al nostro primo run di test mentre prova ad abituarsi a frenare con il piede sinistro, cosa completamente nuova anche per lui. Alla fine è andato tutto bene, visto che sin dalla prima speciale abbiamo siglato lo scratch con un bello scarto, per poi guidare in testa dall’inizio alla fine, e questo ha idealmente dato l’avvio alla nostra carriera. Naturalmente tutti e due conserviamo un bellissimo ricordo di quella esperienza!»